Scherzetto – Domenico Starnone

“L’angoscia della vecchiaia”

Un uomo stanco e un nipote petulante e vitale, la tenacia della vita dentro e dopo di noi, la rabbia di invecchiare. Quando i genitori del piccolo Mario, quattro anni, partono per un convegno, il bambino viene affidato al nonno, un vecchio illustratore piuttosto burbero che da tempo vive a Milano, da solo e nella sua routine, e che per l’occasione ritorna a Napoli.

Fu un viaggio infastidito da sudori di debolezza e dalla voglia di tornarmene a Milano. Pioveva, mi sentivo teso. Il treno tagliava raffiche di vento che opacizzavano il finestrino con rivoli tremolanti di pioggia. Ebbi spesso paura che i vagoni schizzassero via dai binari, travolti dalla tempesta, e constatai che più si invecchia, più si tiene a restare vivi. Ma una volta a Napoli mi sentii meglio malgrado il freddo e la pioggia. Lasciai la stazione e nel giro di pochi minuti raggiunsi l’edificio d’angolo che conoscevo bene.

Il racconto affilato, perfido e divertente, uno “scherzetto” da camera, si svolge tra quattro mura e un balconcino. Tra i due si gioca una partita di alleanze, rivalità e giochi non proprio divertenti.

Mi costrinse sia al gioco della scala, sia a quello del cavallo. Il primo mi fece sbadigliare di continuo. […] Vederlo salire e scendere instancabilmente, mi diede un senso di sfinimento. […] Si trattava ora di fare il cavallo. Dovetti mettermi, soffiando e gemendo, a quattro zampe.

L’anziano misantropo e imbranato duella con un piccolo saputello-perfezionista. La lotta è tra la ferocia e la tenerezza con momenti quasi allegri quando “per scherzetto” il nonno viene rinchiuso sul balcone. Mario richiede attenzione, è incuriosito dal mestiere del nonno, ma anche profondamente critico con un occhio che sorprende e stupisce l’uomo che invece ricerca a Napoli le abitudini di Milano mentre le nostalgie si intrecciano riportandolo agli anni della giovinezza e dell’infanzia legandolo così su un piano sconosciuto al piccolo Mario.

Gli invidiai l’ingovernabilità dello strappo nel viso e nella gola. Non sapevo se avevo mai riso così, di sicuro non ne avevo memoria. Quale potenza c’era in quel modo di ridere di nulla e insieme dell’essenziale.


Con straordinaria eleganza stilistica e spietata coerenza, Domenico Starnone mette in scena i nostri difetti, le nostre paure, le nostre cattiverie. Scherzetto è un romanzo che sotto alla piacevole lettura di una divertente competizione generazionale, offre profondi spunti di riflessione. Sull’umanità, alle prese con lo sgretolarsi delle proprie certezze e della propria identità. E sull’arte, a interrogarsi sull’eccezionalità, il talento e i propri limiti.

Non so, stamattina, se ho paura per il bambino o ho paura del bambino.

Un romanzo coinvolgente e forte, una piacevolissima lettura. Consigliato a chi fa i conti ogni giorno con uno spiritello senza educazione che fingiamo di non vedere, un’energia che ci anima la carne debellando a scadenze fisse ogni compostezza, anche nei più composti.

Manuela

TITOLO: Scherzetto – Pag. 164

AUTORE: Domenico Starnone

EDITORE : Einaudi

Un autunno d’agosto – Agnese Pini

Questa è la storia di Palmira, bisnonna dell’autrice, e di tutte le altre centocinquantotto persone (in gran parte donne e bambini, dovevano essere centossessanta, una si salvò) che furono uccise dai nazisti a San Terenzo Monti il 19 agosto 1944. In quell’estate lungo la linea gotica si consumò la parte più crudele della guerra in Italia, vedi anche pochi giorni prima l’eccidio di Sant’Anna di Stazzema, paese dell’Alta Versilia, luogo a 14 km da quello dal quale scrivo, e l’eccidio di Marzabotto, a fine settembre dello stesso anno.

Agnese Pini (Carrara, 1985) attraverso questo libro, il suo primo pubblicato nel 2023, narra la storia della sua famiglia per tenere viva la memoria della resistenza civile della nazione, cosa che come lei stessa dichiara nelle interviste, “si può fare solo restituendo dignità al destino degli ultimi, e questo è un libro dedicato proprio a loro, che sono l’ossatura forte e imperfetta di tutto il nostro presente”.

Un romanzo civile dunque, ma anche storico e familiare, con tutta una serie di personaggi che diventano romanzeschi per la forza e l’umanità della stessa narrazione. Questa brutta vicenda, la Pini l’ha sempre sentita raccontare per casa da sua nonna e da sua madre, e un giorno di qualche tempo fa – complice il suo lavoro di giornalista, tra l’altro la Pini è la prima donna in 160 anni a ricoprire il ruolo di direttrice del quotidiano “La Nazione” – si è decisa a metterla nero su bianco, non prima di essersi finalmente recata a San Terenzo, in Lunigiana, paese di poche centinaia di abitanti situato tra Liguria, Emilia e Toscana.

Il terzo capitolo si apre così:

C’è un episodio che la nonna Iolanda raccontava spesso, l’aveva spaventata al punto che per giorni non era più voluta uscire. Accadde all’inizio dell’estate del ’44, una sera all’imbrunire. […] Per arrivare a casa, Iolanda aveva tagliato su uno sterrato che costeggiava il promontorio a picco sul mare, da cui si vedevano il castello di Lerici, col profilo biancheggiante di spuma marina, e il golfo con le sue tre isole: la Palmaria, il Tino e il Tinetto, che è poco più che uno scoglio. A seconda della stagione, il sole al tramonto precipita in mezzo all’una o all’altra delle isole, accendendo il mare di una luce brillante e compatta che finisce per fonderlo alla linea dell’orizzonte. […] Se ne accorse troppo tardi: le divise delle SS erano sagome nere nel sole del tramonto. Mia nonna ricordava: il teschio sull’elmetto, il pugnale dentro gli stivali, la pistola mitragliatrice sulla spalla, un nastro di proiettili che circondava il busto, fino al fianco. Quanti erano? Più di dieci, almeno. […] Fu allora che scorse il cadavere di un uomo: se ne stava sdraiato con la faccia in giù – la faccia non si vedeva, era girata verso la radura di canne – aveva la nuca coperta da ciuffi di capelli grigi e radi, una camicia a quadri marroni, i pantaloni erano risaliti dalle caviglie bianche e nude fino ai polpacci. Da sotto la camicia, una chiazza di sangue violaceo si diluiva in rivoli più tortuosi e sottili mano a mano che si allontanavano dal corpo, fino a venire assorbiti dalla polvere e dal ghiaino. Iolanda ricordava bene che, con i suoni rauchi di quella lingua che non aveva mai perdonato, le chiesero i documenti.”

Nei decenni successivi a questi sanguinosi crimini di guerra c’è stata un’assoluta assenza di giustizia, cosa che ha impedito ai parenti, alle famiglie toccate dalle tragedie, di avere una verità che in qualche modo restituisse valore e dignità alle vittime, di conseguenza anche al ramo familiare sopravvissuto, come lo stesso della Pini. Questo questo, libro scritto in memoria di una bisnonna morta a cinquantotto anni ad opera dei nazisti che con la loro assurda regoletta dieci italiani per ogni tedesco rivendicarono l’agguato mortale a sedici loro commilitoni, si prefigge di dar voce a una sorta di giustizia universale, sebbene tardiva, attraverso la memoria di persone innocenti trucidate nei luoghi ove è più naturale sentirsi al sicuro, nelle loro case, nel borgo nativo.

Un libro che può far male ma che è necessario leggere perché tiene viva quella parte di storia di cui per molti anni si era arrivati a non parlare neanche più. Buona lettura,

Lida

TITOLO: Un autunno d’agosto – pag 245

AUTORE: Agnese Pini

EDITORE: Chiarelettere

Mi limitavo ad amare te – Rosella Postorino

Nel 2023 esce il romanzo di formazione corale dell’autrice Rosella Postorino (quella di ‘Le assaggiatrici’, ‘Il corpo docile’, ‘L’estate che perdemmo Dio’ e altri) nel quale si raccontano le vicissitudini di alcuni bambini di un orfanotrofio di Sarajevo nell’estate del ’92, quando vennero caricati su un pullman e portati in Italia per allontanarli dalla guerra.

Omar pensa: ma se fosse ancora viva, poi come farà mia madre a ritrovarmi? Solo l’amichetta Nada, undici anni, lo calma, tenendolo per mano.

In “Mi limitavo ad amare te” l’autrice indaga sulle questioni private dei quattro protagonisti che a partire da uno dei contesti storici europei tra i più crudeli degli ultimi decenni, a poco a poco crescono (la narrazione divisa in quattro grandi parti, arriva fino al 2011) e in questo modo ci da l’input per quesiti importanti ai quali il più delle volte non sappiamo dare risposte, ad esempio sull’inconveniente dell’esser nati in terre e in epoche così disastrate e sanguinarie, quelle dove persiste una guerra, o ancora su come si possa diventare grandi quando da piccoli si è stati amati malamente…

È una grande opera europea e storica, oltre trecento pagine scritte in forma narrativa con i tratteggi del romanzo familiare e di formazione dove i piccoli Omar, Sen, Nada e Danilo – i personaggi principali – incontrandosi quasi per caso in quell’estate di fame e di violenze, diventeranno grandi nel Paese che avrebbe dovuto ospitarli solo fino al termine del conflitto armato, almeno questi erano i patti e soprattutto, ciò che loro sapevano, e che resteranno comunque legati da un filo sottile di amicizia e di solidarietà anche quando le strade prenderanno direzioni diverse e inattese. Molto belle le pagine d’intermezzo ad alcuni capitoli scritte in corsivo, vere e proprie lettere mai spedite e in cui la mano che scrive spesso si domanda a chi andranno quelle sue parole, toccanti spunti di riflessione di cui solo più avanti se ne intuirà il mittente.

Una lettura che non lascia insensibili, un libro per chi vuole riflettere su quanto sia grande, potente, infinito, il bisogno di salvezza dell’essere umano.

Lida

TITOLO: Mi limitavo ad amare te – pag. 345

AUTORE: Rosella Postorino

EDITORE: Feltrinelli

Sonno profondo – Banana Yoshimoto

Nei primi Anni Novanta, la nota scrittrice giapponese Banana Yoshimoto uscì nel nostro Paese con quest’opera narrativa di poco più d’un centinaio di pagine, tre corposi racconti il primo dei quali, ‘Sonno profondo’, dà il titolo alla stessa, a seguire ‘Viaggiatori nella notte’ e ‘Un’esperienza’.

Il filo narrativo di tutte e tre le storie è il sonno, inteso non solo come imprescindibile necessità fisiologica piuttosto come quel tipo di realtà sfuggente – tuttavia concreta – la quale, accompagnandoci lungo il corso delle nostre esistenze, racchiude e ingloba un continuo, invisibile e privatissimo germogliare d’emozioni.


“Il sonno viene come l’avanzare della marea. opporsi è impossibile.”

Estendiamo il significato della citazione alla vita: il sonno è come certi periodi che ci sono necessari per poter andare avanti e migliorarsi. Come quei tempi (giorni, spesso mesi, talvolta anni) di incertezze e lentaggini durante i quali sembra che nella nostra vita non avvenga mai nulla, o piuttosto, solo frustranti passi all’indietro. In realtà, sono proprio questi i momenti indispensabili alla crescita della nostra anima! Quelli che fungendo da ricariche di energie sono dotati di un incredibile effetto fionda: ci aiutano a prendere la rincorsa poi ci sparano dritti nel futuro, a volte quasi senza che ce ne rendiamo conto.

Dunque, se cercate un libricino scritto in maniera semplice, scorrevole ma assolutamente non banale, tanto per approcciarvi alla cifra stilistica di un’autrice giapponese che da allora di romanzi ne ha scritti molti, se desiderate storielle da poter leggere quando sedete sul divano con occhi appannati dalla stanchezza e prima di cadere in un bel sonno profondo, perdonatemi la ‘battutaccia’… ecco, Banana Yoshimoto fa al caso vostro, con queste pagine che stimolano riflessioni su piccole azioni spesso date per scontate quindi ritenute non degne di nota. Tanto per dire, la protagonista del primo racconto a un certo punto si pone una domanda: ma da quando ho cominciato ad abbandonarmi così al sonno, a smettere di opporre resistenza? Ma che domanda è – si potrebbe dire – mi pare alquanto sciocca…! E invece no, riflettendoci non è affatto mediocre perché è scientificamente risaputo che anche dormire troppo può avere il suo spiacevole risvolto, tanto per dire, un subdolo stato depressivo in atto…

Buona lettura,

Lida

TITOLO: Sonno profondo – pag 136

AUTORE: Banana Yoshimoto

EDITORE: Feltrinelli

Cose da fare per farsi del male – Michele Orti Manara

Questa raccolta di storie brevi non è un manuale di sopravvivenza, ma una carrellata di personaggi spezzati, tormentati dal passato, travolti dalla frustrazione. Aleggiano tra queste pagine temi come il segreto, l’inquietudine per ciò che dovrebbe essere familiare, il male sperimentato nell’età dell’innocenza. Eppure, in ognuna di queste storie c’è sempre un portale su un’altra dimensione, forse rimossa o forse fantastica, alla quale i personaggi cercano con tutte le loro forze di avere accesso per riuscire a restare a galla. Una carrellata di dodici racconti, quelli contenuti nell’ultima opera di Manara, dodici protagonisti che apparentemente non hanno niente in comune tra loro, diversi per età, genere ed esperienze vissute, ma che sono legati dalla stessa emozione, quella della paura e della frustrazione di un passato che li ha segnati e che si ripercuotono nel loro presente.

E allora troviamo una giovane donna scavare nell’archivio di un vecchio cinema cercando una traccia paterna che porti conforto. Un giovane desiderare in segreto una ragazza in un bar, fino a scivolare in una delirante ossessione. O ancora, un personaggio che ascolta la voce di un lago in compagnia di un cane sbucato chissà dove, per provare a colmare un’assenza. Sono storie dolorose ma raccontate con rispetto e dolcezza, fiabe nere da assaporare con calma. Le parole accuratamente scelte rendono la lettura fluida e piacevole. Le scene sono vivide e arricchite da dialoghi ben costruiti. Una bellissima scoperta per me che non conoscevo questo autore.
Consiglio questo libro a chi non ha timore di affrontare le proprie paure e gli eventi irrisolti della vita, a chi è pronto a guardarsi nell’animo.

Manuela

TITOLO: Cose da fare per farsi del male – Pag.215

AUTORE: Michele Orti Manara

EDITORE : Giulio Perrone Editore

Il libro delle sorelle – Amélie Nothomb

Tristan e Laetitia. Tristan è la primogenita, ed è una bambina molto sensibile. Nei primi anni di vita si e’ sentita sola, i genitori, innamoratissimi, erano troppo impegnati a vivere la loro reciproca immensa passione per poterla veramente ‘considerare’.

Che significava fare la brava? Voleva dire non emettere nessun suono, non manifestare né desideri né bisogni, non muoversi.”

Quando alla fine nasce una sorellina, attraverso quel legame fraterno che subito farà da scudo solido e potentissimo, in barba all’indifferenza dei genitori Tristane inizierà a vivere molto meglio. “Il libro delle sorelle” è un romanzo breve, come d’altronde tutti quelli della famosa autrice belga Amélie Nothomb che dal ’92 – anno di pubblicazione del suo primo, intitolato “Igiene dell’assassino” – ne sforna quasi uno l’anno.

Con una scrittura lieve, ricca di dialoghi, profonda e in alcuni tratti pure terribilmente cruda, l’autrice è capace di accendere i riflettori sulle schermaglie disfunzionali non necessariamente evidenti che possono venire a crearsi (e rimanere ben nascoste) all’interno di alcune famiglie in apparenza felici e senza problemi.

Anche in quest’opera torna il tema anoressia, tanto caro all’autrice perché, come lei stessa ha rivelato nelle numerose interviste, rappresenta un rilevante e corposo tratto autobiografico dell’età adolescenziale.

L’anoressia era ancora una novità. Veniva considerata una malattia poetica che colpiva le ragazze, come un tempo la tisi. Bobette ci mise un bel po’ a capire che sua figlia aveva un problema. Quando se ne rese conto, fu presa dal panico.

– Tu preferivi Tristane a me e allora sono diventata più magra di lei.

– Non ho mai preferito Tristane. E poi che cosa c’entra con la magrezza?

– Te la sei cercata.

C’è qualcosa di peggio dell’anoressia: la condizione di genitore dell’anoressico. Lo sventurato assiste impotente all’autodistruzione della prole, sapendo per giunta che agli occhi della gente la colpa è sua.”

Passa il tempo, le bimbe crescono, succedono cose, come in tutte le famiglie. Le due sorelle iniziano percorsi di vita diversi che le allontaneranno fisicamente ma non nel cuore: Tristane si trasferisce a Parigi, il loro legame rimarrà comunque molto potente, assoluto, indistruttibile.

“E poi c’era Parigi . approdare in quella città sconosciuta le faceva girare la testa . Studiare lettere lì era quasi un pleonasmo. Parigi era la letteratura. Non c’era quartiere, strada che non evocasse un capolavoro letterario.”

Una storia che sembra apparentemente lieve, volendo anche quasi banale, ma che al contrario si rivela fin dagli inizi molto profonda e ricca di spunti di riflessione. Un libro che consiglio a chi desidera una lettura veloce, che scorre bene e che nel contempo riveli tutte le profondità di un grande romanzo d’amore, perché in quale altro modo è possibile descrivere un legame così tenace tra due sorelle, se non con la parola Amore? Buona lettura,

Lida

AUTORE: Amélie Nothomb

TITOLO: Il libro delle sorelle – pag.113

EDITORE: Voland

Le coordinate della felicità – Gianluca Gotto

Nel 2018, per Mondadori, esce in Italia il primo libro di Gianluca Gotto, un romanzo autobiografico che parla di scelte di vita e di ricerca della felicità. È la storia di un ragazzo che, come egli stesso scrive, pur non essendo speciale si costruisce una vita speciale, un libro illuminante e motivazionale che forse non sarà in grado di darci le risposte che stavamo cercando ma aiuta a spingersi nella direzione ottimale, quella di porsi le giuste domande. Gianluca, torinese, classe 1990, dopo aver interrotto un percorso universitario non adatto alle sue corde, a vent’anni si trasferisce prima in Australia poi in Canada. Peripezie varie, rientri forzati in patria, imprevisti, usi e costumi da scoprire, partenze all’ultimo minuto per nuovi paesi, il tutto sempre in condivisione con l’amata compagna Claudia, perfetta metà della mela con i medesimi sogni obiettivi e desideri, entrambi alla continua e ostinata ricerca delle loro coordinate della felicità. Oggi Gianluca è un nomade digitale: la scrittura, sua antica passione, si è trasformata in un lavoro senza obblighi di timbro cartellino, scrive articoli e libri mentre viaggia per il mondo, soprattutto paesi asiatici. Negli ultimi capitoli di questo accattivante memoir, dopo l’esperienza di Malta, ci rende partecipi delle sue riflessioni riguardo l’intenzione di aprire un blog personale: oggi, “Mangia Vivi Viaggia” è uno spazio interattivo molto seguito, anzi forse uno tra i più visualizzati di sempre in lingua italiana, nel quale l’autore condivide insegnamenti Zen ed esperienze di vita formanti, spronando e aiutando i followers a trovare un loro modo per essere felici ogni singolo giorno.

‘Le coordinate della felicità‘ è un libro che non si riassume in poche righe di recensione, volendo evitare banali valutazioni. Le 370 pagine di percorso formativo sono da leggere per intero, fino all’ultimo rigo, e aggiungo, a qualsiasi età. Perché è vero sì, che l’opera potrebbe essere maggiormente rivolta al pubblico giovane che sta decidendo l’impostazione del proprio futuro, ma è altresì auspicabile che la felicità possa essere individuata e raggiunta, quindi non solo sognata e idealizzata, anche da individui più in avanti con gli anni perché è una caratteristica imprescindibile e un traguardo doveroso per ciascuna esistenza umana. Leggendo, ho trovato paragrafi ragguardevoli e riflessioni degne di citazione ma per non dilungarmi troppo riporto due soli episodi narrativi, tra quelli che mi hanno particolarmente colpito.

          – La disavventura vietnamita della coppia –

Gianluca e Claudia giungono oltre l’orario in cui erano attesi in un paesino al centro del Parco Nazionale di Phong Nha, nel cuore del Vietnam, di sera, in moto, sotto una pioggia battente che li costringe ad andare a non più di venti allora. La signora del Guest House con una insolita maleducazione li informa di aver già dato via la stanza prenotata. Costretti a camminare bagnati fradici per le vie del borgo incastrato tra vallate montagne e fiumi, alla ricerca spasmodica di un posto dove ripararsi e pernottare, provano a chiedere la disponibilità di una camera all’unico Hotel presente in zona, ma chiaramente il prezzo è fuori budget. Un ragazzetto li nota, legge nei loro occhi lo smarrimento allora consiglia di chiedere ospitalità a una famiglia del luogo, ma la coppia inizialmente non ne ha il coraggio. Recare disturbo, intromettersi nelle vite altrui non è una cosa che rientra nelle loro abitudini. Alla fine però, mossi da una reale disperazione, domandano ospitalità dietro compenso a una signora che passa per strada e lei molto entusiasta li conduce nella propria casa, dove si ritrovano a cenare con una decina di persone tra nonni bambini e ragazzi loro coetanei, con nessuno che parlava inglese ma alla fine riuscendo a comunicare con tutti.

“A volte devi solo lasciare da parte i pregiudizi e aprire il tuo cuore, troverai sempre qualcuno pronto ad accorgersi di te come un figlio, proprio quando ne hai più bisogno. Viaggiare insegna a non prendere per buono tutto ciò che dicono telegiornali e giornali, per cui la terra è un brutto posto e i pericoli sono ovunque.”

                 – No kids?

Nel girovagare per strada, si fermano a bere da tre donne ambulanti un bicchiere di succo di zucchero di canna, bevanda energetica molto popolare nel sud est asiatico. Una delle tre, la più anziana, domanda: ‘No Kids?’ – Loro rispondono che hanno solo 25 anni. ‘Solo?’ – ribatte incredula la più giovane, specificando di aver avuto il primo figlio a 16 anni.

“Le domande della signora mi spinsero a pormene altre. Mi chiesi perché noi occidentali siamo così ossessionati dall’analisi di ogni singolo aspetto e dettaglio prima di prendere una qualsiasi decisione. A furia di pensare e riflettere si finisce per trovare sempre qualcosa che può andare storto: i soldi non saranno mai abbastanza, le responsabilità saranno troppo grandi, ci potrebbero essere ostacoli insopportabili e rischi di ogni tipo e alla fine ci facciamo spaventare dalle prospettive negative al punto di rinunciare completamente a fare qualunque cosa per paura di fallire. Scegliamo un immobilismo che non ci porta da nessuna parte e questo non è solo un discorso legato al creare una famiglia ma al modo di vivere, così ciecamente razionale da trasformare la nostra logica in un credo senza alcuna logica. Perché quando prendiamo consapevolezza dei rischi e dei pericoli della vita (quella consapevolezza che miliardi di persone nel mondo non hanno) decidiamo di costruire zone di comfort dove rinchiudersi per sentirci al sicuro.” […] “si muore pensando con tristezza di non esserci mai dichiarati alla donna della nostra vita per paura di essere rifiutati, di non aver mai viaggiato per paura di non essere all’altezza, di non aver mai pubblicato quel romanzo per paura del giudizio altrui, è tutta una questione di paura: per alcuni è la spinta fondamentale verso il cambiamento, per altri è la parola fine scritta a caratteri cubitali sui propri sogni e sulla propria prospettiva di felicità”.

Il viaggio è uno dei modi più efficaci e probabilmente il migliore per osservare la nostra vita dall’esterno, per poter analizzare ed eventualmente mettere in dubbio certi aspetti che noi abbiamo sempre considerato certezze.

Buona lettura e buon viaggio!

Lida

Autore: Gianluca Gotto

Titolo: Le coordinate della felicità – Pag. 374

Editore: Mondadori

Imparare a parlare con le piante – Marta Orriols

Un inizio che lascia attoniti per una storia di rinascita ambientata a Barcellona. Nelle prime pagine troviamo un uomo e una donna, felicemente insieme da vent’anni, che pranzano in un delizioso ristorante cittadino. Paula e Mauro sono una coppia benestante, lui fa l’editore, lei la neonatologa in ospedale. Occasioni di questo genere, pranzi e cene fuori, sono per loro piuttosto frequenti anche se oggi sembra essere un giorno speciale, diverso da tutti gli altri: da tempo la donna brama un figlio, frutto di un amore profondo e duraturo, ed ha scelto proprio l’amato locale come idilliaca ambientazione per far sì che il messaggio arrivi a destinazione. Non ha però considerato il destino, che a volte con le sue zampate feroci e beffarde è capace di stravolgere una realtà: neanche il tempo d’intavolare l’argomento ‘famiglia’ che Mauro, non senza vergogna e imbarazzo, prende la parola per confessare di essersi innamorato di un’altra donna, e di volersene andare di casa quanto prima. Lei, imbambolata, inerme, rimane seduta al tavolino in silenzio. Lui si alza bruscamente e, senza aggiungere altro, se ne torna in ufficio. Paula non lo rivedrà più.

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Gilgi, una di noi – Irmgard Keun

Non è certo una novità che un grande amore porti con sé dei cambiamenti. Il brutto è che si cambia solo a metà, e adesso lei è composta di due metà che non stanno affatto bene insieme, che litigano in continuazione, e nessuna delle due vuole cedere di un millimetro.

Gilgi, diminutivo di Gisella, è la protagonista di questo “irriverente” romanzo dato alle fiamme dai nazisti per le strade di Berlino del ’33, perché considerato oltraggioso, provocatorio e spregiudicato. Ci riprovò l’Italia nel 1934 con una nuova pubblicazione ma anche questa fu censurata, alcune parti del libro vennero tagliate. L’Orma lo ha riportarlo alla luce nel 2016, in forma integrale.


Essere una persona – che cosa significa? Che non ci si può più nascondere nella collettività, che si è soli. Questo bisogna imparare: bisogna imparare a essere una persona, bisogna imparare a sapere che una risata costa mille lacrime, sapere che un’ora di felicità va pagata con mille ore di dolore.

Gilgi è una giovane donna di ventuno che si destreggia tra la spensieratezza della gioventù e il terrore della guerra che incombe. Sfacciatamente ottimista e avida di vita, ama il rigore e l’autodisciplina. Lavora come dattilografa, studia le lingue, traduce, si fabbrica i vestiti da sé e ha una piccola stanza in affitto dove si rifugia da sola ad ascoltare musica jazz e battere sui tasti dell’amata macchina da scrivere. Rigorosa e selettiva anche con l’amicizia che riserva solo a Pit, un giovane audace sempre preso dalle vicende politiche e Olga, di qualche anno più grande, modello di sensualità senza remore. Niente sembra scalfire il rigore della nostra Gilgi, nemmeno la notizia di non essere figlia della famiglia che l’ha cresciuta, rivelazione che la madre adottiva le fa, il giorno del suo ventunesimo compleanno, senza nessun tipo di emozione, con la stessa flemma che avrebbe usato per chiederle di passarle un oggetto. Niente riesce a smuoverla dai suoi obiettivi, niente tranne l’incontro con Martin e l’amore che la travolgerà.


Ora Gilgi nuota in un turbine di sentimenti inutili. Sono davvero inutili? Una volta era così, una volta le sembravano tali. Non è felice? Certo che è felice. Spesso. Però le ore felici sono care. Il conto viene prontamente presentato. Bisogna pagare! Con cosa? Con la paura e un po’ di dolore. No, non mi sembra che il prezzo sia troppo alto, è solo la valuta che è strana.


Un romanzo ilare e appassionato, un gioiello di stile. Con eccezionale capacità l’autrice riesce a portare il lettore dritto nell’animo di Gilgi grazie anche al nitidissimo flusso di coscienza che arricchisce le pagine. Un testo che mescola pathos e commedia: la storia di un amore folle che ingloba concetti attuali, troppo audaci per la Germania degli anni ’30 quale la convivenza fuori dal matrimonio, l’aborto, l’autonomia della donna.


Ciò che è bello rende felici. Ci sono cose che non possono piacere subito, bisogna prima allenarsi un po’. Ma, dato che il premio è la gioia, vale la pena allenarsi. Sono proprio le gioie che uno si è guadagnato con fatica quelle più vere, le più durature. Sei d’accordo che la gioia non è mai abbastanza, vero?

Manuela

TITOLO: Gilgi, una di noi Pag.234

AUTORE: Irmgard Keun

EDITORE : L’Orma

Psicopompo – Amélie Nothomb

Negli ultimi anni mi è capitato molto spesso di leggere biografie e autobiografie ma finora mai nessuna era riuscita a coinvolgermi, spiazzarmi, farmi rileggere e sottolineare frasi come invece l’ultimo brevissimo testo di Amélie Nothomb.

Lo Psicopompo è un’entità che accompagna le anime dalla vita alla morte o viceversa. Nella cultura greca è rappresentato da sirene, donne-uccello. Ed è proprio con la metafora dedicata a questa divinità che la Nothomb ci parla a cuore aperto della sua vita, accompagnandoci in un viaggio liberatorio. Questo romanzo non è solo l’insieme di eventi e delle esperienze che hanno caratterizzato la vita dell’autrice, non è solo il racconto itinerante intrapreso fin dall’infanzia assieme alla famiglia ma, soprattutto, il percorso interiore, la sofferenza, la “morte” e la rinascita di questa autrice fuori dagli schemi.
Il romanzo si apre con una fiaba della tradizione giapponese che la tata Nishio-san raccontava a una piccolissima Amélie: la storia drammatica di una gru sfruttata dall’uomo per avidità. Ed è proprio da qui che nascerà la passione dell’autrice per gli uccelli e, in seguito, la “voglia” di imparare a volare.

Non mi chiedevo se ci fosse una morale in questa storia, ma inconsciamente la mia interpretazione era che l’uccello rivelava all’uomo tutta la sua bassezza.


All’età di cinque anni la piccola viene sradicata dall’amato Giappone per il trasferimento nella ben più arida Cina, dove Mao continua la sua opera di distruzione. Ad essere scomparsa non è solo la libertà individuale ma anche tutta la specie aviaria ritenuta responsabile della carestia. Amélie è costretta a rifugiarsi nei libri per cercare quante più nozioni sugli uccelli. Inoltre, da qua inizierà la sua vita errabonda al seguito del padre diplomatico. Prima New York, dove il canto degli uccelli torna a farsi sentire e anche la gioia di ascoltare all’alba, quando tutti ancora dormono, quel “concerto” che non è mai uguale. Dopo New York, il Bangladesh, con le sue province sperdute e tanta povertà, fame, morte. Gli anni passano, l’autrice comincia a prendere consapevolezza del mondo. Crescere non le piace (la pubertà mi appariva come una maledizione), è doloroso come per un “pulcino” imparare a volare. Le esperienze di quel periodo non saranno certo d’aiuto: c’è una violenza fisica, subita a dodici anni sulla spiaggia di Cox’s Bazar:

Fu allora che le mani del mare mi abbrancarono. Innumerevoli mani che non appartenevano a nessun corpo visibile mi afferrarono, mi spogliarono e mi possedettero. Il dolore era paragonabile solo al terrore.

L’anoressia incombe, spingendola nel baratro. Amélie però non è mai sola, i suoi amati uccelli le danno conforto, sono un punto di riferimento (coltiva l’uccello che è in te, decisi. Vedremo come va a finire). Dopo il Bangladesh la Birmania poi il Laos. Il corpo è sempre più debole (la carcassa di un cavallo di Troia), ma proprio l’anoressia, da carnefice diventerà salvatrice.

Per quanto strano possa sembrare, l’anoressia mi salvò. Quei due anni senza mangiare furono la ripartenza da zero di cui avevo bisogno. La mia vittoria sulla fame fece nascere ufficialmente un’altra persona in me.

Le pagine scorrono veloci. Ritroviamo l’autrice diciassettenne a Bruxelles. Ha iniziato a scrivere, ancora senza uno scopo preciso, ma le “prime piume” cominciano a farsi vedere, il “volo” è sempre più vicino.

Ogni manoscritto era una migrazione sconosciuta: non sapevo dove stessi andando, scoprivo l’itinerario lungo il percorso.

Per guarire del tutto c’è solo da tornare a casa: in Giappone.

Psicopompo è il libro dei nuovi inizi, degli scopi che ci tengono in vita. È l’inno a non arrendersi mai, nemmeno di fronte al dolore più grande. Buona lettura,

Manuela

TITOLO: Psicopompo – Pag.105

AUTORE: Amélie Nothomb

EDITORE : Voland