Psicopompo – Amélie Nothomb

Negli ultimi anni mi è capitato molto spesso di leggere biografie e autobiografie ma finora mai nessuna era riuscita a coinvolgermi, spiazzarmi, farmi rileggere e sottolineare frasi come invece l’ultimo brevissimo testo di Amélie Nothomb.

Lo Psicopompo è un’entità che accompagna le anime dalla vita alla morte o viceversa. Nella cultura greca è rappresentato da sirene, donne-uccello. Ed è proprio con la metafora dedicata a questa divinità che la Nothomb ci parla a cuore aperto della sua vita, accompagnandoci in un viaggio liberatorio. Questo romanzo non è solo l’insieme di eventi e delle esperienze che hanno caratterizzato la vita dell’autrice, non è solo il racconto itinerante intrapreso fin dall’infanzia assieme alla famiglia ma, soprattutto, il percorso interiore, la sofferenza, la “morte” e la rinascita di questa autrice fuori dagli schemi.
Il romanzo si apre con una fiaba della tradizione giapponese che la tata Nishio-san raccontava a una piccolissima Amélie: la storia drammatica di una gru sfruttata dall’uomo per avidità. Ed è proprio da qui che nascerà la passione dell’autrice per gli uccelli e, in seguito, la “voglia” di imparare a volare.

Non mi chiedevo se ci fosse una morale in questa storia, ma inconsciamente la mia interpretazione era che l’uccello rivelava all’uomo tutta la sua bassezza.


All’età di cinque anni la piccola viene sradicata dall’amato Giappone per il trasferimento nella ben più arida Cina, dove Mao continua la sua opera di distruzione. Ad essere scomparsa non è solo la libertà individuale ma anche tutta la specie aviaria ritenuta responsabile della carestia. Amélie è costretta a rifugiarsi nei libri per cercare quante più nozioni sugli uccelli. Inoltre, da qua inizierà la sua vita errabonda al seguito del padre diplomatico. Prima New York, dove il canto degli uccelli torna a farsi sentire e anche la gioia di ascoltare all’alba, quando tutti ancora dormono, quel “concerto” che non è mai uguale. Dopo New York, il Bangladesh, con le sue province sperdute e tanta povertà, fame, morte. Gli anni passano, l’autrice comincia a prendere consapevolezza del mondo. Crescere non le piace (la pubertà mi appariva come una maledizione), è doloroso come per un “pulcino” imparare a volare. Le esperienze di quel periodo non saranno certo d’aiuto: c’è una violenza fisica, subita a dodici anni sulla spiaggia di Cox’s Bazar:

Fu allora che le mani del mare mi abbrancarono. Innumerevoli mani che non appartenevano a nessun corpo visibile mi afferrarono, mi spogliarono e mi possedettero. Il dolore era paragonabile solo al terrore.

L’anoressia incombe, spingendola nel baratro. Amélie però non è mai sola, i suoi amati uccelli le danno conforto, sono un punto di riferimento (coltiva l’uccello che è in te, decisi. Vedremo come va a finire). Dopo il Bangladesh la Birmania poi il Laos. Il corpo è sempre più debole (la carcassa di un cavallo di Troia), ma proprio l’anoressia, da carnefice diventerà salvatrice.

Per quanto strano possa sembrare, l’anoressia mi salvò. Quei due anni senza mangiare furono la ripartenza da zero di cui avevo bisogno. La mia vittoria sulla fame fece nascere ufficialmente un’altra persona in me.

Le pagine scorrono veloci. Ritroviamo l’autrice diciassettenne a Bruxelles. Ha iniziato a scrivere, ancora senza uno scopo preciso, ma le “prime piume” cominciano a farsi vedere, il “volo” è sempre più vicino.

Ogni manoscritto era una migrazione sconosciuta: non sapevo dove stessi andando, scoprivo l’itinerario lungo il percorso.

Per guarire del tutto c’è solo da tornare a casa: in Giappone.

Psicopompo è il libro dei nuovi inizi, degli scopi che ci tengono in vita. È l’inno a non arrendersi mai, nemmeno di fronte al dolore più grande. Buona lettura,

Manuela

TITOLO: Psicopompo – Pag.105

AUTORE: Amélie Nothomb

EDITORE : Voland

Fumo – Josè Ovejero

Un romanzo spietato, silenzioso.

Conviviamo, in silenzio per la maggior parte del tempo. Facciamo ciò che dobbiamo fare; senza giustificarci. Senza mentire. Non riesco a immaginare una famiglia migliore


Fumo
è un romanzo distopico, asciutto, angosciante. Lo scenario è quello di un mondo apocalittico, primordiale impossibile da collocare nel tempo Non si fa accenno a come le persone si siano ritrovate in quello stato. È un mondo spogliato di tutto. Non esistono forme di comunicazione, le vie di collegamento sono all’improvviso scomparse. Niente autostrade, case, centri commerciali. Solo foreste inospitali, aride infestate da nugoli di api che ciclicamente assediano la baracca della donna e il bambino. Tra loro non c’è legame di sangue ma insieme formano una famiglia. Il loro rapporto è fatto di gesti, sguardi e abitudini condivisi rivolti soprattutto alla ricerca di quel pochissimo cibo che resta… qualche bacca, funghi, semi. Non c’è nessun legame di sangue nemmeno con l’uomo che di tanto in tanto porta loro cibo sfamando le loro bocche e il ventre di lei. Scarsi i dialoghi, nessuna emozione.

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Malia d’Italia – Marina Stepnova

«Distinguersi non era bello. Né a quei tempi, né a quell’età, né in quel quartiere. […] Soltanto il grigiore assicurava una qualche tranquillità.»

Marina Stepnova, dopo il grande successo di “Le donne di Lazar’” a luglio 2020 è tornata in libreria con “Malia d’Italia”, opera che vede quale protagonista Ivan Sergeevič Ogarëv, un medico cresciuto con i dettami della scuola sovietica degli anni ’70 (che quale unico obiettivo aveva quello di forgiare dei perfetti comunisti conformati al dogma e all’istituzione imposta) e con gli insegnamenti di un padre ferreo e radicato nei suoi principi. Ed è infatti il rapporto con il padre ad aver maggiormente influenzato la sua crescita e la sua infanzia. Quest’uomo è una figura imponente e fedele nel midollo alla bandiera, non innamorato di quella donna mediocre asservita al suo volere ed è un padre che incide sulla formazione del medico perché riesce a farlo sentire sempre e perennemente inadeguato tanto che, cresce pieno di sensi di colpa e paure.

L’evolversi del romanzo prende le fila dalla vita del protagonista passando dai primi innamoramenti ai primi approcci alla lettura e a quella sempre maggiore passione per la medicina che finirà per essere il suo scopo dell’età adulta.

Ma il lavoro dell’autrice tocca ben quarant’anni di storia russa ed europea attraverso lo sguardo del suo protagonista e del suo vivere quotidiano intervallato da relazioni e sentimenti per il primo grande amore Netočka e da tutti quegli incontri e quelle relazioni umane che verranno a instaurarsi in una società in fermento e piena di cambiamenti e che crollerà definitivamente con il disastro di Čhernobyl’.

Malja e le sue efelidi sono presenti nel titolo per quel ricordo che aleggia nella mente come una costante che mai viene a mancare. Ella è la figura con la quale il medico conoscerà un calore diverso da quel freddo sovietico a cui da sempre è stato abituato, dentro e fuori.

A personaggi solidi e a un componimento eterogeneo, stratificato e vasto che tocca tematiche importanti e di grande pregio, si aggiungono descrizioni meticolose e minuziose che non mancano di rendere vivido nella mente del lettore l’ambiente circostante. Ciò consente ancora di più di sentire sulla propria pelle l’ostilità del contesto in cui si svolgono i fatti.

Ancora, al tutto, si aggiunge una scrittura profonda, magnetica, corposa che, anche questa volta, arricchisce il testo impreziosendolo di quel quid tale da renderlo unico nel suo genere. Magistrali gli approfondimenti storici e letterali che solo in apparenza fanno da cornice.

Un grande libro da leggere e custodire.

Demetra

La seduzione – Josè Ovejero

José Ovejero nasce in Spagna ma vive e ha vissuto gran parte della sua vita in Germania e a Bruxelles prima di tornare a Madrid. Scrittore poliedrico si è destreggiato tra poesia e saggi passando per il teatro, fino ai racconti e romanzi. Vincitore di numerosi premi, ultimo nel 2013 il premio Alfaguara con il romanzo “La invencion del amor”.

Maledetta Vanità. L’ammirazione è l’esca migliore per sedurre un uomo.

Con “La Seduzione” edito Voland, (il nono con questa casa editrice) Ovejero ci presenta Ariel uno scrittore cinquantacinquenne, insopportabile vanesio e saccente, in piena crisi creativa e non solo, pure nel bel mezzo di un divorzio tutt’altro che facile. Ariel è cinico, disilluso e con una vita sociale ormai piatta, unica eccezione, David, figlio di una coppia di vecchi amici e aspirante scrittore.

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