Le percezioni sensoriali nell’autismo e nella Sindrome di Asperger – Olga Bogdashina

Le differenze percettive nell’ autismo, rappresentano nella teoria di Olga Bogdashina, il nodo centrale dei disturbi dello spettro autistico. E non sono dettagli o aspetti accessori rispetto alle teorie cognitive, linguistiche o comportamentali. Comprenderle significa analizzare perché questi bambini appaiono “stranieri in ogni cultura”.

Olga Bogdashina è co-fondatrice dell’ International Autism Institute, autrice di almeno 12 libri sulla materia, insegna in Gran Bretagna e in Europa. Non nasconde di essere contemporaneamente ricercatrice e madre di un ragazzo autistico che le ha insegnato molto sugli aspetti percettivi dell’autismo.

Molti dei comportamenti autistici si ritrovano anche in altri disturbi sensoriali, basti pensare alla cecità e alla sordità dove si riscontrano sintomi simili. Nel primo caso potremmo osservare una persona che cerca di orientarsi toccando gli oggetti e annusando i cibi, nel secondo un soggetto che non risponde alle domande ma guarda fuori dalla finestra e pare non accorgersi della presenza altrui come se non intendesse comunicare. Se la nostra osservazione si basasse solo sul comportamento certe bizzarrie verrebbero inquadrate nei disturbi dello spettro autistico; se vicevresa mostrassimo attenzione alla loro percezione dovremmo concludere che essi sono il risultato di una altro deficit, “potremmo adattare l’ambiente circostante ai loro bisogni – scrive Bogdashina – e introdurre strategie appropriate per comunicare”.

L’autrice ritiene che molti dei fallimenti degli interventi terapeutici nell’autismo dipendano dalla mancanza di approfondimento delle esperienze sensoriali e dello stile percettivo nell’ autismo. In questa ottica, Bogdashina passa in esame le varie teorie cognitive dell’ autismo, dalla teoria della mente a quella del deficit delle funzioni esecutive. Il libro è invece incentrato sulla teoria percettiva sensoriale a cui l’autrice da la massima credibilità.

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Il bambino dell’aceto – Marcello Sgarbi

Un libro, quello di Marcello Sgarbi, uscito a fine agosto 2020, che si può sommariamente ritenere suddiviso in due parti principali: la prima, una sorta di diario di vita che narra l’esperienza paterna alle prese con l’autismo, il figlio Umberto è un ‘bambino della luna’, la seconda invece, come rappresentanza e ringraziamento verso le molte persone che hanno affiancato e tuttora affiancano il suo ‘gigante buono’, oggi ventitreenne. Volendo specificare, le ultime pagine de “Il bambino dell’aceto” sono approfondimenti a dimostrazione dell’amore che può esistere e può essere d’aiuto ad ogni famiglia che si trova ad affrontare simili esperienze e momenti di sconforto. E’ come se l’autore volesse esprimere un sotteso incoraggiamento a non perdersi mai d’animo.

“L’insegnante Nicola gli aveva formulato sulla tastiera la domanda: Che cos’è per te la felicità? Risposta: Essere consolati. – Che stretta al cuore, quando l’avevo letta. Mi aveva fatto pensare alle Beatitudini, una delle pagine più belle e provocanti dei Vangeli nelle parole di Gesù: “Beati gli afflitti, perché saranno consolati”. Ed in effetti, era un sostantivo perfetto per definire Umberto. Afflitto: chi è addolorato, tormentato. Afflitto da una sindrome che lo tormentava ed ancora più atroce, ne era consapevole. Bastava guardargli le mani, che nei momenti di maggior tensione, si mordeva a sangue. Tutta la pena di non poter essere ascoltato e compreso si scaricava lì, in quei morsi intermittenti ed ogni volta quasi più feroci, accompagnati dai fremiti spasmodici del corpo. Era un dolore intimo e fisico talmente intenso da penetrare anche noi, sbranandoci l’anima. Come i segni sul muro incisi e poi barrati, dentro la gabbia di un condannato al silenzio. Perché essere autistici è lo stesso: avere tante cose da dire e, prigionieri di se stessi, non riuscire a farlo.”

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La trasparenza del camaleonte – Anita Pulvirenti

La prima cosa che mi ha colpito di questo libro è stata il titolo. Mi chiedevo cosa significasse, cosa nascondesse. Poi ho iniziato a leggere e subito mi è arrivato chiaro il motivo di un titolo tanto curioso (e perfettamente azzeccato, direi).

Carminia è una donna sui quarant’anni che vive da sempre secondo le proprie inclinazioni, che non sono affatto quelle del resto del mondo che la circonda. Ha i suoi schemi, abitudini di comportamento, rituali che la fanno sentire bene. Non comprende molte delle esigenze della socialità e tende a estraniarsi; è riservata, solitaria, ama il proprio lavoro metodico e non lega con i colleghi.

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